Dapprima avevo pensato di postare questo commento sul blog di Gamberetta, Gamberi Fantasy, (http://fantasy.gamberi.org/), ma notando anche i toni delle sue risposte, mi sono resa conto che sarebbe stato inutile. Infatti, come lei stessa ha esplicitamente dichiarato, il suo metodo non è in discussione!! Il blog è suo e fa un po’ quello che cavolo vuole. D’accordo, ma quando si presume di aver adottato il modo “giusto” per recensire i romanzi di narrativa fantastica, bisognerebbe anche essere disposti ad accettare le critiche a quella tecnica di scrittura ritenuta così “giusta”, anche perché la domanda nasce spontanea: siamo sicuri che lo sia? Siamo sicuri che si debba scrivere così? O si può anche scrivere così?
La suddetta tecnica si riferisce allo stile trasparente da lei osannato e innalzato a Vangelo (se non sapete di che parlo, leggete qui i suoi principi: http://fantasy.gamberi.org/2008/05/31/riassunto-delle-puntate-precedenti/ ). Ora finché Gamberetta dice: “io voglio scrivere così perché questa è la tecnica che preferisco”, niente da dire (e infatti i suoi gusti rispecchiano il suo pensiero, come si evince dai suoi libri preferiti, che sono appunto scritti in modo trasparente); ma quando nelle sue recensioni fa affermazioni come: “non è così che si scrive, cribbio!”, questo non è più un parere soggettivo, ma implicitamente ammette che ci sia un modo, un metodo, obiettivamente corretto per scrivere (sottinteso: narrativa di genere fantastico). Secondo me dovrebbe limitare la sua presunzione e rendersi disponibile a mettere in discussione alcuni assiomi, ma siccome non vuole farlo e se ne frega di pareri diversi dal suo convinta che “si scrive così e basta!” , inutile discutere con lei, dato che non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Perciò io ne discuto qui speranzosa che un giorno qualcuno contribuisca a rendere la discussione un po’ meno sterile di quello che è adesso.
Io sono sinceramente interessata a tale argomento in qualità di aspirante scrittrice. Quando lessi per la prima volta l’articolo succitato ne rimasi estasiata, fui tentata anch’io di elevarlo a Vangelo (complici anche gli esempi da lei riportati in svariati articoli, in cui si mostrava in modo efficace che lo stile da lei decantato era obiettivamente migliore), ma mi resi conto che la realtà era diversa. Quelli erano brevi frammenti, esempi di frasi, quando entra in gioco l’intero testo ci sono altre variabili da tener presenti.
Tralasciando l’importanza del contenuto, che lei spesso sottovaluta, e limitandoci alla mera tecnica, vi sono comunque degli ostacoli oggettivi alla scrittura trasparente.
Innanzitutto vi è l’ impossibilità di riprodurre la realtà in modo assolutamente oggettivo; la visione della realtà è sempre interpretazione: noi vediamo ciò che vogliamo vedere, influenzati anche dalla nostra cultura, dai nostri valori/pregiudizi/ atteggiamenti/preconcetti, nonché dalla nostra personalità. Infatti noi non “vediamo” la realtà, ma la guardiamo, il che implica un processo non automatico, ma attivo e intenzionale e quindi soggettivo.
Il secondo punto a sfavore è l’ambiguità. E’ facile creare situazioni incomprensibili, ambigue o poco chiare; questo succede quasi sempre nella realtà quando vi è un non-detto, una frase allusiva o ambigua, ma nei rapporti quotidiani reali abbiamo la possibilità di chiedere chiarimenti, nel libro no. L’informazione è a senso unico e questo è un aspetto imprescindibile da non sottovalutare. Io ho letto il tanto amato – da Gamberetta – Swanwick e ho trovato incomprensibile più di un passo. Temendo di essere scema io, ho fatto leggere a più persone i tali pezzi incriminati e ne ho avuto lo stesso responso: punti interrogativi che si levavano visibilmente dalle loro teste [ci tengo a precisare che io ho cercato di influenzare il meno possibile i miei interlocutori, non iniziando allusivamente il discorso con frasi tipo: “ma tu ci capisci qualcosa?”, ma con un neutrale “leggi un po’ questo” e solo dopo la fine della lettura ho aggiunto “cosa ne pensi?”, tant’è vero che mia madre pensava (anzi “temeva”) l’avessi scritto io]. Allo stesso modo, trovo assai arduo riuscire a descrivere perfettamente un’immagine o una situazione come se la si stesse vedendo; prendiamo per esempio un dialogo, nell’esposizione orale sono presenti: tono della voce, espressioni facciali, parole interrotte o mal pronunciate, mugoli, accento, pause, postura, prossemica, mimica,... (e mi sono limitata all’aspetto visivo, togliendo l’aspetto uditivo e il contatto fisico) Per quanto uno sia in grado di descrivere l’immagine in modo perfetto, ciascun lettore si creerà comunque la sua rappresentazione di quell’immagine che coinciderà solo in parte con quella dello scrittore (esperimento facile per dimostrare ciò: e qui si tratta di semplici fig.geometriche, la realtà è più complessa, per non parlare del fantasy, in cui siamo di fronte a situazioni immaginarie e quindi non possiamo nemmeno rifarci all’esperienza per comprenderle). Ponendo anche che sia possibile essere talmente bravi da riuscire a mostrare perfettamente una situazione/immagine fantastica senza spendere nemmeno una parola in spiegazioni, proprio come fosse un film (cosa di cui dubito fortemente), rischiamo di ridurre la narrazione a videoregistrazione, che appunto non è un miglioramento, ma una limitazione delle potenzialità della scrittura: il romanzo ci permette di fare delle cose che il cinema non può fare. Così come un libro non produrrà mai efficacemente delle immagini come può fare una telecamera, così un film non riuscirà a riprodurre il fluire di pensieri (o qualsiasi emozione non visibile) come può fare la parola scritta. Sono due cose diverse.
E poi un’altra pecca, a mio avviso la maggiore: la freddezza di un brano esposto in tale maniera. Portando il principio della trasparenza all’estremo, narrare si tradurrebbe in un mero susseguirsi di immagini. Ma non mi pare che questa sia la tecnica auspicabile. Dubito che il lettore troverebbe interessante una storia scritta così.